Bianciardi alla rovescia
Questo è un controcanto, il tentativo di dare un risvolto biologico, fisico, organico, materiale alla storia capovolta di Luciano Bianciardi, di metterne sotto la lente di ingrandimento della medicina la sua vicenda esistenziale. Non si tratta di un approccio psicologistico ma della storia del suo difficile rapporto con la medicina. Bianciardi, che pure pensava di essere epicureo, di cavare dal corpo il massimo del piacere nel tentativo di praticare nel suo piccolo individuale e relazionale la teorizzata “utopia copulatoria”, non fece molto per salvaguardare la salute della sua carcassa. Questo lo portò ad una morte precoce, iniqua come sono tutte le morti precoci, ma in particolare quella alcolica. Morì a Milano nel 1971, come vogliono le cronache, solo e non compreso neppure dai suoi affetti più prossimi. Solo la “sua” Grosseto, che s’era scelto come patria di elezione, lo accolse come un grande, riempiendo stracolma la piazza delle catene, dato che questa città remota e spersa di grandi che le abbiano voluto bene ne ha avuti di molto pochi.
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