Mino Maccari senese spavaldo
Mancava una monografia che su Mino Maccari proponesse un’analisi comprensiva dell’intero operare del suo multiforme ingegno e accordasse ampio rilievo alla sua scrittura. Non solo, dunque, tesa a lumeggiare il pittore di un’umanità stravolta e grottesca sul ciglio di un’Apocalisse. Non solo il nervoso autore di fulminanti incisioni e dissacratori disegni, accompagnati di solito da calembours che ne prolungano la puntuta ferocia. Non solo l’epigrammista che in allusivi couplets sintetizza il suo estro irriverente degno degli amati classici. Del giornalista talmente poco si è scritto che quasi resta sconosciuto ai più. E che dire dell’elzevirista – il termine forse non gli sarebbe piaciuto – di terza pagina che ha lasciato penetranti pagine, e non, si badi, da prosa d’arte, ma asciutte e vergate in una lingua scandita dai ritmi stringati di una favolistica e ammiccante toscanità? Insomma un tutto Maccari mancava.
Dalla prefazione di Roberto Barzanti
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