Papamusc’
Nessuno nella piazzetta. Nessuno alla fontana quasi secca. Nessuno dietro le finestre […]. Solo le teste scolpite agli stipiti delle porte, mostri barbuti a sorreggere i balconi, le ringhiere in ferro battuto, leoni, serpenti, meduse con la lingua in fuori, teste di sirene, polene, come fossero navi mancate le case, navi in un mare bianco. E sempre le lenzuola a far rumore, a sbattere nel vento, ad asciugarsi, e in alto, nel fazzoletto d’azzurro che disegnavano i tetti, una striscia d’aereo a dividere il cielo”.
È la festa di S. Antonio, il santo delle cose dimenticate. Nelle intricate vie bianche di un paese del Sud dominato dalla sagoma solenne della torre del castello improvvisamente scende il silenzio e tutti scompaiono.
La giovane Grazia cerca una spiegazione all’insolito deserto. In un’atmosfera di magico mistero, tra piante che curano, uova che predicono il futuro, abiti rossi, tremende richieste di morte e ossa di popoli antichi, la voce narrante dello sfuggente Papamusc’ dipana i fili che legano le vite di vari personaggi: le guaritrici di vicolo Vecchio, i tossici della villa comunale, una nobildonna e un capostazione, un bizzarro rigattiere, l’attempata signorina a guardia di una biblioteca abbandonata.
Un viaggio tra modernità e tradizione, tra oblio e memoria.
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