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Le poesie di Piero Conz propongono una storia, definita e forse quasi completa, di contrapposizioni e di richiami dove si impone l’idea, propria dell’ autore, di condurre il lettore in un piccolo, ma inesauribile labirinto di emozioni e di immagini, ove ritrovarsi, perdersi e inevitabilmente svelarsi. La complicità di questo lieve andare, affannoso appena nel dipanarsi della catena dei ricordi, porta ad ascoltare storie di antichi sciamani, a seguire il volo di nuvole barocche, a scrutare tra i solchi l’espressione di un viso e poi deporvi un fruscio di foglie autunnali. E quando, più volte, l’Autore invita l’immaginaria amica a non parlare, a stare in ascolto, perché solo così potrà, e solo per poco, sentirne la voce flebile di canto che si trasforma in un romantico sussulto di singhiozzi, come non riconoscere in lui il menestrello di una gioventù che è là, dietro l’ultima siepe che delimita il giardino segreto e scommette ancora su nuovi accordi, su nuove canzoni.
Chiara Ferronato
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